Si dice che la storia sia scritta dai vincitori. Dai vincitori, e, aggiungerei, dagli oppressori. L’ingiustizia più grande è stata ed è quella dell’oppressione del genere femminile, che, pur essendo la maggioranza (52% delle persone sul pianeta), ancora oggi viene trattato da minoranza. Ho capito finalmente perché al liceo non mi piacevano storia e filosofia, le trovavo tra le materie più noiose e le studiavo svogliatamente. Ora che mi interesso agli studi sul femminismo, sono la mia materia preferita. Mi sarebbe piaciuto se a scuola mi avessero parlato di Ipazia, di Olympe De Gouge, di Artemisia Gentileschi, forse mi sarei appassionata a queste materie. La storia di queste donne è uno spunto molto importante anche per i ragazzi di oggi per parlare di ingiustizie e di violenza patriarcale e di un riscatto morale che spesso era postumo. Imparare dal passato si dice che serva per non ripetere gli stessi errori. Ma forse nemmeno basta, visto che a Genova una mostra sulla Gentileschi, organizzata da uomini, è stata rappresentata come un inno alla cultura dello stupro, addirittura con merchandising a tema che riportavano le parole dello stupratore.
Tornando alla questione storica, sto leggendo alcuni libri che ripercorrono la storia dell’umanità riscrivendola con il pezzo mancante, il contributo delle donne all’evoluzione e alla cultura odierna. Partiamo dai tempi preistorici. La rappresentazione classica (che ha radici nell’archeologia dell’800) è il mito dell’uomo cacciatore, che procacciava cibo per la famiglia, mentre la donna stava nella caverna ad accudire i figli e a cucinare. Niente di più falso. L’uomo cacciatore e procacciatore di cibo è stato strumentalizzato per giustificare un istinto violento nei confronti delle donne, come per dire che è scritto nel DNA che il maschio sia portato per la violenza e la sopraffazione dei più deboli. Si vuole giustificare il pregiudizio per cui l’uomo sia destinato a realizzarsi nel lavoro (nella Bibbia “lavorerai con il sudore della fronte”) e la donna in casa ad accudire la prole (“partorirai con dolore”). In realtà, anche le donne preistoriche partecipavano a battute di caccia, erano guerriere, sacerdotesse e regine. Il cibo portato dal cacciatore era non più del 20% di quello che consumavano i nostri antenati. La carne non era un alimento consumato quotidianamente, l’80% del cibo era raccolto dalle donne. Del resto gli scheletri dei nostri antenati e il tipo di dentatura indicano che erano sicuramente onnivori. Le donne raccoglievano quello che trovavano e dovevano convertirlo in un pasto accettabile per tutta la tribù, una sorta di mistery box di Masterchef!
E, se fosse vero che le donne stavano più nei pressi del rifugio, è chiaro che a loro si devono i grandi progressi dell’umanità, come imparare ad usare il fuoco per rendere i cibi più digeribili, e le meravigliose pitture rupestri, che ancora oggi si possono ammirare. Sembra inoltre che la maggior parte di noi sia destrimana perché il bimbo piccolo viene tenuto a sinistra (dove viene tranquillizzato dal rumore del battito cardiaco materno), e si è sviluppata quindi la capacità di usare la mano destra per fare tutto mentre l’altra mano è occupata. I bambini è probabile che venissero tenuti in indumenti simili alle fasce o marsupi di oggi. L’intelletto stesso del piccolo sapiens, che ci distingue dagli animali, doveva essere sviluppato con stimoli e interazioni, che avvenivano non solo con la madre, ma con tutti i componenti della tribù. Davvero a quel tempo per crescere un bambino ci voleva un villaggio!
L’archeologia dell’800 ha fatto modo di cancellare le prove che le nostre antenate fossero più emancipate delle donne moderne, per non mettergli strane idee in testa. Se veniva trovata una sepoltura con onori di guerriero, gli archeologi la attribuivano a un soggetto maschile (se era minuto di corporatura, non poteva essere una donna, chiaramente era un maschio piccolo). Non sappiamo se le società più antiche erano davvero matriarcali, ma si pensa che comunque fossero matrilineari. Non c’era certezza di paternità, e le competenze passavano di madre in figlia. Quando una figlia abbandonava la tribù per spostarsi in una nuova, portava con sé un bagaglio prezioso di conoscenze, che faceva sì che gli avanzamenti di un gruppo si estendessero anche ad altri. Il motore del progresso sono state le donne, che venivano venerate per la loro capacità di sanguinare senza morire e di dare la vita con il parto. La donna era rispettata ed onorata perché portava ricchezza e nuova vita alla tribù. Le statue antichissime delle dee della fertilità forse erano degli autoritratti, vedendosi come seno, ventre e gambe, ma senza testa.
Ma a un certo punto qualcosa è andato storto. Circa 10.000 anni fa nasce il patriarcato: quando gli umani divennero stanziali e iniziarono a sfruttare l’agricoltura e ad addomesticare gli animali, la donna venne relegata all’ambiente domestico (di fatto, “addomesticata” anche lei, dimenticando in molti casi la sua natura selvaggia e la sua indole libera). Sembra che ci sia stato uno scambio poco equo tra la sicurezza personale e la libertà. Le donne hanno avuto l’illusione di essere più protette, per poi ritrovarsi schiave e comunque vittima di violenza in ambito domestico (la promessa di protezione non è stata rispettata, una truffa in piena regola). Ancora oggi, purtroppo, assistiamo all’ennesimo femminicidio (uno ogni 3 giorni in Italia), senza che ci sia un vero intervento su una violenza che è strutturale e patriarcale e che viene continuamente giustificata anche nei titoli di giornale (del tipo “l’amore non ricambiato del gigante buono”, “si stava separando”, “era affetto da una grave forma di depressione”, “è un tipo tranquillo che non ha mai dato problemi”, etc.). Ai tempi nostri, non esiste un vero e proprio matriarcato, come diceva Michela Murgia, ma si può definire matricentrismo quella situazione in cui la figura della madre viene messa come pietra d’angolo per reggere tutta la famiglia. Ella ha potere nella misura in cui lei stessa contribuisce all’oppressione di chi sta sotto, donne più giovani e bambini, facendo rispettare le stesse regole che la opprimono.
Per saperne di più, ti consiglio questi libri su storia antica e femminismo, che mi hanno appassionata:
“La preistoria è donna: Una storia dell’invisibilità delle donne” di Marylène Patou-Mathis
“Chi ha cucinato l’ultima cena? Storia femminile del mondo” di Rosalind Miles
Seguimi anche su Instagram come @valentinapontello_ginecologa dove parlo di salute femminile e femminismo