Ho letto Gender tech di Laura Tripaldi, e oggi parliamo di ecografia, la cosa più insospettabile di diventare strumento di oppressione. La tecnologia alla base dell’ecografia ha origine belliche. Le navi usavano i sonar per scandagliare il fondo marino e per identificare sottomarini nemici. A partire dagli anni 50 si iniziò a studiare il corpo umano con questo nuovo strumento, dando l’origine a una delle branche della medicina più importanti per la diagnostica non invasiva di molte malattie. In particolare, parlando di salute femminile, gli ultrasuoni sono fondamentali per identificare patologia benigna e maligna della mammella e degli organi riproduttivi, utero e ovaie in particolare e per il monitoraggio della gravidanza.
Per la prima volta, dalla fine degli anni 70, si è accesa una luce su quello che succede dentro l’utero, su come appare un feto nelle varie settimane di sviluppo. È ben noto che purtroppo anche in Italia gli oltranzisti cattolici hanno depositato in Parlamento una proposta di legge, firmata da oltre 100.000 persone, per obbligare la donna che vuole abortire ad ascoltare il battito cardiaco embrionale. Si parte dalla falsa credenza che vedere l’embrione/feto crei una specie di attaccamento nella madre (quindi, chi partoriva prima degli anni 70 non aveva nessun attaccamento?), ma anche nel padre, cosa peraltro poco supportata dalla scienza. Quindi se io donna che voglio abortire mi rendo conto che dentro di me c’è un essere umano in miniatura, magari cambio idea (certo, come no?) o comunque mi sento in colpa. Sì, perché poi alla fine lo scopo è questo: torturare le donne.
Una precisazione sulla questione battito cardiaco embrionale. Nei siti delle attiviste pro-choice (vale a dire, a favore dell’aborto) si legge che quello che si ascolta non è un vero battito, ma la registrazione di attività elettrica di cellule ancora non specializzate. Ora, il punto non è quanto è umano il contenuto dell’utero gravido, ma la possibilità per la donna di autodeterminarsi. Non è rilevante sapere quanto quel cuore è già un cuore, anche perché l’aborto volontario è consentito fino a 12 settimane più 6 giorni, quando già ci sono fattezze simil-umane. Nell’embrione già dalle 6 settimane di età gestazionale (corrispondenti a 4 settimane di sviluppo, visto che l’epoca gestazionale comprende anche le due settimane dall’ultima mestruazione, quindi prima dell’ovulazione e del concepimento) si formano due tubi paralleli, che poi attorcigliandosi diventano il cuore. Il movimento che vediamo è una pulsazione meccanica ed è quello che registra la sonda ecografica, che lo converte in suono tramite l’effetto Doppler, un fenomeno fisico che deriva dagli echi riflessi da una struttura in movimento. Dentro l’utero, quel cuore non produce nessun rumore, lo farà molto più tardi, quando il battito potrà essere ascoltato dall’esterno con uno stetoscopio ostetrico (una trombetta di legno), ma siamo già nel terzo trimestre di gravidanza.
Tornando all’uso violento della tecnologia, l’ultima considerazione riguarda il fatto che a volte la sonda transvaginale viene usata in modo improprio. Come per lo speculum, serve prendersi un giusto tempo affinché la vagina possa accoglierla senza troppi fastidi. All’inizio della mia carriera, una paziente mi aveva raccontato che era stata sottoposta in modo frettoloso ad ecografia transvaginale senza che le venisse chiesto se aveva avuto rapporti. La donna era oltre i 30 anni e al medico sembrava ovvio che ne avesse avuti. Lei per pudore non aveva detto niente. Ne uscì profondamente traumatizzata, tanto da sviluppare un sintomo psicosomatico, per cui le sembrava di sentire sempre la sonda all’interno della sua vagina, anche se era passato molto tempo dall’accaduto. Faccio presente anche che in Inghilterra, dove ho lavorato dal 2004 al 2005, un medico uomo che pratica un’ecografia transvaginale deve essere accompagnato da una “chaperone” vale a dire un’osservatrice donna, a tutela della sicurezza di entrambi. Questo in modo che la paziente si senta tutelata e il medico non venga a sua volta accusato ingiustamente di violenza. Purtroppo questo accorgimento non esiste nella nostra cultura e si sentono storie orribili di colleghi che abusano delle loro pazienti, una cosa che, quando confermato in sede legale, dovrebbe escluderli a vita dalla professione.
Consiglio la lettura di Gender tech di Laura Tripaldi