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L’encefalocele ha una frequenza di una su 10.000 gravidanze, e fa parte dei difetti del tubo neurale, come la spina bifida e l’anencefalia.

L’encefalocele consiste in un difetto localizzato della volta cranica, attraverso cui fuoriesce un meningocele (sacco di meningi, con solo liquido all’interno), oppure un mielomeningocele (sacco di meningi, con tessuto cerebrale all’interno). La sede più frequente è quella occipitale, mentre più raramente l’encefalocele si apre anteriormente, attraverso le fosse nasali. Sono stati descritti anche encefaloceli del vertice della volta cranica.

Ecograficamente si evidenzia la presenza di un sacco cistico, attaccato al cranio. Le dimensioni della circonferenza cranica possono essere più piccole rispetto all’epoca gestazionale, soprattutto se il sacco è grande e contiene molto tessuto cerebrale (microcefalia).

La diagnosi differenziale si pone rispetto a: igroma cistico, lipoma, emangioma e teratoma dello scalpo (in questo caso l’anatomia intracranica risulta regolare).

L’encefalocele può essere isolato, o associato ad altre anomalie:

La gestione di questa condizione prevede:

  • ecografia di secondo livello, per escludere altre malformazioni associate
  • consulenza genetica
  • amniocentesi. Il dosaggio dell’alfa-fetoproteina risulterà aumentata, analogamente agli altri difetti del tubo neurale
  • risonanza magnetica fetale: per definire meglio il contenuto del sacco e per escludere altre anomalie del sistema nervoso centrale
  • consulenza con neurologo pediatra, al fine di discutere la prognosi neonatale. Consulenza con neurochirurgo, per parlare dell’intervento, da eseguire dopo la nascita.
  • parto in centro di terzo livello, tramite taglio cesareo.

La prognosi dipende dalle dimensioni del difetto e dall’eventuale fuoriuscita di materiale cerebrale nel sacco erniario. Piccoli encefaloceli possono avere una prognosi positiva. In altri casi, la sopravvivenza è dell’80% dei casi, e solo nel 20% dei sopravvissuti si verifica un normale sviluppo psicomotorio. In caso di idrocefalia, può essere necessario l’intervento per il posizionamento di shunt ventricoloperitoneale (=un tubicino che scarica il liquido cefalorachidiano in addome).

Il rischio di ricorrenza in una successiva gravidanza varia dal 2 al 5%.