- Quando si fa diagnosi di aborto spontaneo
- La minaccia d’aborto
- Con quale frequenza si verifica l’aborto spontaneo
- Terapia dell’aborto spontaneo
- Cause di aborto spontaneo
- Prevenire l’aborto spontaneo
- Morte intrauterina o endouterina fetale (MIF; MEF)
- Aborto e morte intrauterina nelle gravidanze gemellari
- La perdita di un figlio: aspetti psicologici
- La gravidanza dopo un aborto
- A chi rivolgersi in caso di poliabortività o morte in utero
Quando si fa diagnosi di aborto spontaneo
La diagnosi di aborto spontaneo viene posta quando si verificano i seguenti criteri (come da linee guida SIEOG 2015):
- camera gestazionale con diametro medio superiore a 25mm, ma senza embrione visualizzabile (detto anche “uovo cieco”, termine ormai sorpassato)
- embrione di dimensioni superiori a 7mm, con attività cardiaca assente (detto anche “aborto interno”)
Se tali criteri non vengono soddisfatti, sarà necessario un controllo a distanza per chiarire la diagnosi: dopo 2 settimane almeno se è stata visualizzata solo la camera gestazionale senza embrione o sacco vitellino, dopo 11 giorni se era stata vista una camera gestazionale con sacco vitellino.
Nel caso (piuttosto frequente) di quadri ecografici dubbi (ad esempio test di gravidanza positivo e assenza di camera gestazionale all’ecografia transvaginale) le possibilità diagnostiche sono le seguenti:
a) può trattarsi di una gravidanza normale, in fase precoce, per cui ancora non si vede la camera gestazionale. Infatti, la camera gestazionale diventa evidente di solito verso la fine della quarta-inizio della quinta settimana di gestazione (contando a partire dal primo giorno dell’ultima mestruazione), e non tutti ovulano in quattordicesima giornata.
b) può trattarsi di un aborto spontaneo, che verrà definito “incompleto” o “completo” a seconda della presenza o meno di materiale residuo in utero.
c) nell’1-2% dei casi può trattarsi di gravidanza extrauterina, cioè una condizione in cui l’embrione si impianta in una sede anomala, ad esempio a livello della tuba, dell’ovaio o della cervice. La gravidanza extrauterina può mettere a rischio la salute materna: infatti la rottura improvvisa (ad esempio della tuba) può essere causa di abbondante emorragia interna. E’ quindi consigliabile, in tutte le pazienti con minaccia d’aborto e camera gestazionale non visualizzata all’interno dell’utero, recarsi immediatamente dal medico se sopraggiungono forti dolori addominali, perdite ematiche abbondanti, senso di svenimento. E’ importante ricordare, infatti, che solo in una minoranza di casi la diagnosi di gravidanza extrauterina viene posta ecograficamente, e che i segni clinici sono fondamentali nel guidare verso la diagnosi corretta.
d) molto raramente (1 su 1500 gravidanze) può trattarsi di mola gestazionale, una patologia della placenta, che viene identificata all’esame del materiale prelevato dopo raschiamento uterino.
Per chiarire il quadro clinico di solito si consiglia la ripetizione dell’esame ecografico a distanza di almeno una settimana e di eseguire prelievi di sangue a giorni alterni per valutare l’ormone della gravidanza, detto beta-HCG (lo stesso che viene individuato dai comuni test di gravidanza sulle urine).
- Nel caso di una gravidanza in normale evoluzione l’ormone beta-HCG aumenta rapidamente, raddoppiando ogni 24-48 ore, la camera gestazionale apparirà ecograficamente quando si superano di solito i 1000-1500 U/mL (a seconda della risoluzione dell’apparecchio ecografico)
- Nel caso di un aborto spontaneo l’ormone beta-HCG diminuisce esponenzialmente. Se non ci sono segni di materiale residuo in utero, non sarà necessario sottoporsi a raschiamento.
- Nel caso di gravidanza extrauterina l’ormone beta-HCG tende a rimanere stabile.
- Nel caso della mola le beta-HCG risultano estremamente elevate
La minaccia d’aborto
Si parla di minaccia d’aborto, quando si verifica sanguinamento in una gravidanza riconosciuta come vitale, prima della 24° settimana. Cioè l’ecografia ha mostrato la presenza di embrione o feto vitale, ma la paziente si presenta clinicamente con perdite ematiche vaginali.
L’ecografia in questi casi talora mostra la presenza di aree di distacco amniocoriale (cioè tra il sacco amniotico e il sacco coriale, che forma la placenta) o ematomi sottocoriali. Questi aspetti ecografici non devono essere confusi con il “distacco di placenta”, un’evento che si presenta generalmente al terzo trimestre di gestazione, con sanguinamento abbondante, che può essere pericoloso per il feto e la gestante. Diversamente, la presenza di distacco amniocoriale o di ematoma, di per sè non pregiudica il normale proseguimento della gravidanza nella maggioranza dei casi, qualora si osservino le comuni precauzioni (riposo a letto, assunzione di progesterone allo scopo di rilassare la muscolatura uterina).
Talora però non vediamo segni ecografici che possano spiegare il sanguinamento in atto. In questi casi si pensa che: o esiste una piccola area di scollamento, da cui il sangue esce senza accumularsi in un ematoma visibile ecograficamente, o che talora il sanguinamento provenga dal collo uterino (ad esempio da un piccolo polipo del collo, che in gravidanza diventa particolarmente vascolarizzato).
Purtroppo, in alcuni casi la minaccia d’aborto diventa aborto spontaneo, soprattutto quando il sanguinamento aumenta e compaiono intensi dolori uterini, legati alle contrazioni dell’utero che cerca di espellere il prodotto del concepimento. In questi casi è bene rivolgersi al pronto soccorso ginecologico, dove verrà valutata l’indicazione per un eventuale ricovero. Dobbiamo però sottolineare che l’eventuale ricovero è volto più all’osservazione dei casi critici e che al momento attuale non esiste una terapia efficace per evitare un travaglio abortivo in atto.
Con quale frequenza si verifica l’aborto spontaneo
L’aborto spontaneo è un evento piuttosto frequente: circa il 15-20% di tutte le gravidanze si interrompono, generalmente nelle prime settimane di gestazione. Solo nel 2% delle donne però si verificano due aborti, e nello 0.5-1% dei casi 3 o più aborti. In questo caso si parla di abortività ricorrente (o poliabortività), una condizione che necessita di approfondimenti diagnositici specialistici.
E’ molto importante ricordare che avere avuto un singolo aborto è un’evenienza molto frequente, e che questo non pregiudica la possibilità di avere future gravidanze regolari. Inoltre, è necessario valutare attentamente la storia clinica della paziente, l’anamnesi ginecologica, la storia riproduttiva familiare (soprattutto in linea materna) w, in base a queste notizie, decidere o meno di proseguire in approfondimenti diagnostico-clinici.
La terapia dell’aborto spontaneo si distingue in:
- terapia chirurgica: detta anche “raschiamento”. L’intervento viene eseguito sotto sedazione (in pratica si dorme per 5-10 minuti, senza i rischi di una anestesia generale). Si effettua la dilatazione del canale cervicale e poi si inserisce uno strumento a forma di cannula che consente l’aspirazione del materiale residuo. Si controlla poi che l’utero sia “pulito” tramite uno strumento a forma di cucchiaio, che elimina gli ultimi residui del materiale placentare. Le complicanze del raschiamento, per fortuna piuttosto rare, sono: emorragia (5% dei casi), infezione (1-2%), perforazione uterina (0,5-1%). In rari casi, è necessario ripetere l’intervento per l’incompleta evacuazione dell’utero.
- condotta d’attesa: consiste nell’attendere la spontanea evacuazione del materiale abortivo dall’utero, eventualmente aiutata dalla somministrazione di farmaci uterotonici (cioè farmaci che fanno contrarre l’utero). La condotta di attesa è applicabile soprattutto ai casi di aborto incompleto, mentre più raramente ha successo nel caso degli aborti interni, che possono impiegare anche diversi giorni prima che il materiale endo-uterino venga espulso. Possibili complicanze della condotta d’attesa sono legate soprattutto al sanguinamento, che può diventare abbondante soprattutto al momento dell’espulsione del materiale abortivo, e a dolori pelvici. Infatti, se tali condizioni si presentano, si può porre l’indicazione per un raschiamento d’urgenza.
Cause di aborto spontaneo
Le cause di aborto spontaneo sono molteplici:
- alterazioni cromosomiche: si riscontrano nel 50-70% degli aborti al primo trimestre, la frequenza aumenta all’aumentare dell’età materna. Tuttavia, le cause genetiche non sono causa di aborti ricorrenti, se il cariotipo (cioè il set dei cromosomi) dei genitori è normale
- alterazione del cariotipo dei genitori, che crea cellule uovo o spermatozoi con corredo genetico alterato
- alterazioni uterine, ma solo se modificano significativamente la struttura dell’utero: utero setto, miomi sottomucosi (che ostacolano l’impianto dell’embrione)
- incontinenza cervicale: la cervice risulta debole e si apre sotto il peso dell’utero, anche in assenza di contrazioni. L’incontinenza cervicale è causa di aborti tardivi (terzo-sesto mese)
- fattori immunologici: anticorpi antifosfolipidi, malattie autoimmuni
- sindrome dell’ ovaio policistico: maggiore produzione di androgeni e resistenza insulinica sono forse le cause di maggior frequenza di aborti nelle pazienti con sindrome dell’ovaio policistico
- iperprolattinemia (ma il legame con il rischio di aborto è controverso)
- infezioni: agenti infettivi che attraversano la placenta, infettando il feto e causandone la morte (toxoplasma, rosolia, citomegalovirus…) oppure infezioni vaginali non trattate (“vaginosi batterica”), che possono scatenare un processo infiammatorio con produzione di mediatori che innescano contrazioni uterine e che portano ad aborti tardivi o parto pretermine. Talora febbre alta nelle prime settimane di gravidanza può essere causa di aborto.
- trombofilia: le condizioni in cui il sangue coagula in eccesso ostacolano il normale adeguamento circolatorio alla gravidanza
- diabete, alterazioni tiroidee: se trattate correttamente e tenute sotto controllo adeguatamente, non sono causa di aborto.
- insufficienza del corpo luteo: condizioni in cui il corpo luteo non produce abbastanza progesterone, l’ormone che favorisce l’impianto e il mantenimento della gravidanza nel primo trimestre
Bisogna però ricordare che nella maggioranza dei casi non si riesce a trovare la causa che possa aver determinato l’aborto, specie quando questo è stato occasionale. Viceversa, in caso di aborto ricorrente, diventa importante identificare la causa e rimuoverla.
Prevenire l’aborto spontaneo
Nei casi di abortività ricorrente è bene identificare i fattori scatenanti, prima di iniziare una successiva gravidanza.
In particolare è utile richiedere alcuni esami di base come:
- ecografia pelvica: per escludere anomalie uterine
- esami ematici per diabete, tiroide, condizioni di trombofilia e alcune condizioni immunologiche, come il morbo celiaco
- cariotipo dei genitori (un semplice esame del sangue per confermare la normalità del corredo cromosomico)
- cariotipo del materiale abortivo (al momento del raschiamento, parte del materiale viene mandato all’esame citogenetico)
Possibili trattamenti:
- Progesterone: efficace nei casi legati ad insufficienza del corpo luteo, ha la funzione di rilassare l’utero. Tuttavia non esiste evidenza scientifica che riduca il rischio di aborto anche negli altri casi.
- terapia della sindrome antifosfolipidi e di condizioni di trombofilia: aspirinetta e/o eparina a seconda dei casi
- cerchiaggio della cervice, nei casi di incompetenza cervicale: inserimento per via vaginale di una “fettuccia” che tiene chiuso il collo dell’utero. Il ruolo del cerchiaggio nella prevenzione del parto pretermine è molto controverso.
- trattamento di diabete o di patologia tiroidea.
La morte in utero del feto (oltre le 10-12 settimane) è un evento che deve essere sempre valutato attentamente. Infatti, mentre le perdite embrionarie sono piuttosto frequenti e, come detto sopra, sono spesso legate ad anomalie genetiche, le perdite fetali devono essere indagate attentamente prima di iniziare una gravidanza successiva, allo scopo di correggere i fattori determinanti.
Le cause di morte in utero si sovrappongono in parte a quelle riportate per le perdite al primo trimestre, e si distinguono in
Problemi materni
- diabete mellito
- ipertensione pregravidica o in gravidanza
- malattie del connettivo (che sono malattie a patogenesi immunologica)
- trombofilia (situazioni in cui il sangue coagula in eccesso)
Problemi fetali
- infezioni da parassiti, batteri o virus
- malattia emolitica (isoimmunizzazione materno-fetale, con grave anemia del feto)
- problemi del cordone (prolasso di funicolo, trombosi, nodo vero serrato, torsione del funicolo)
- malformazioni gravi, anomalie cromosomiche e sindromi genetiche
- Problemi della placenta: disfunzione placentare nel ritardo di crescita grave, distacco di placenta
- sindrome da trasfusione feto-fetale nelle gravidanze gemellari monocoriali
Gli accertamenti che devono essere eseguiti, comprendono quindi da un lato accertamenti sulla salute materna, dall’altro sul feto. E’ molto doloroso dare il proprio consenso per l’autopsia fetale, ma bisogna ricordare che è molto importante capire cosa è accaduto, per evitare che questo possa ripetersi in gravidanze successive.
Accertamenti materni
- curva glicemica con insulinemia ed emoglobina glicosilata: per vedere se esiste un diabete misconosciuto
- test di Coombs: per valutare la presenza di isoimmunizzazione materno-fetale
- test di Kleihauer-Betke: un test che serve per identificare i globuli rossi nel sangue materno, ci dice se c’è stata emorragia dal feto verso la madre. Va eseguito nell’immediato, dopo la diagnosi di morte in utero.
- sierologia per i comuni agenti infettivi (esame del sangue materno): toxoplasma, citomegalovirus, rosolia, parvovirus, sifilide
- studio della coagulazione completo (ricerca dei fattori di rischio per trombofilia)
- anticorpi LAC, ACA, anti-nucleo (per identificare patologie di tipo autoimmune, e fattori di trombofilia)
Accertamenti fetali
- cariotipo: studio del corredo genetico
- amniocentesi con ricerca di agenti infettivi
- ricerca di agenti infettivi dagli organi fetali, dopo la nascita
- autopsia completa, con invio anche della placenta all’istologia
- radiografia completa dello scheletro nel caso in cui si sospetti una sindrome genetica
Cosa succede dopo la diagnosi di morte in utero?
Sebbene gli studi ci dicano che il naturale decorso dopo una morte intrauterina è una fisiologica spontanea attivazione del parto entro le due settimane dalla morte del bambino, solitamente si preferisce indurre il parto entro le 48 ore successive alla diagnosi, soprattutto per evitare possibili rischio per la salute della madre. I rischi materni sono principalmente dovuti all’attivazione di alcuni processi della coagulazione, che provocano ipercoagulabilità del sanute.
Per questo, dopo la diagnosi di morte in utero, generalmente si induce il travaglio tramite la somministrazione di prostaglandine intravaginali, sotto copertura analgesica. A volte la risposta non è immediata, specie alle epoche gestazionali precoci. In questo caso, dopo un giorno di “riposo”, si riproverà l’induzione del travaglio.
Dopo il parto, specialmente alle epoche gestazionali più avanzate si può verificare la comparsa della montata lattea. Per prevenirla è utile la somministrazione di farmaci che inibiscono il rilascio di prolattina, che è l’ormone che regola l’allattamento.
Aborto e morte intrauterina nelle gravidanze gemellari
L’aborto nella gravidanza gemellare è un fenomeno che si realizza più frequentemente nel corso delle prime settimane di gestazione. La camera gestazionale con il piccolo embrione viene riassorbita, per cui si parla di “vanishing twin“, cioè di gemello che scompare. Nella grande maggioranza dei casi la gravidanza va avanti come singola, senza problemi particolari per l’embrione restante, sia nel caso di gemelli bicoriali, che nel caso di gemelli monocoriali.
Diversamente, se la morte in utero avviene nel corso del secondo/terzo trimestre, ci possono essere dei problemi, soprattutto nel caso di gemelli monocoriali. Infatti i gemelli monocoriali condividono la placenta e sono collegati tra loro da anastomosi vascolari. La morte di un gemello crea un sequestro di sangue verso il suo territorio placentare, per cui il gemello restante può andare incontro a una emorragia acuta, che comporta in circa la metà dei casi morte o danno cerebrale da ipovolemia (=riduzione della massa ematica, con riduzione dell’apporto di ossigeno al cervello). Nella restante metà dei casi il secondo gemello sopravvive senza complicanze neurologiche. Per valutare l’eventuale danno cerebrale di solito si richiede una risonanza magnetica fetale, da eseguire generalmente a 4-6 settimane dall’evento. Una delle cause principali di morte in utero nelle gravidanze monocoriali è rappresentata dalla sindrome della trasfusione feto-fetale.
Nelle gravidanze bicoriali, il problema dell’emorragia non esiste, infatti ogni gemello ha il suo territorio placentare. Possibili rischi legati alla morte in utero di un gemello nella gravidanza bicoriale sono dovuti principalmente alla prematurità: infatti la presenza di tessuto fetale e placentare in necrosi, determina il rilascio di sostanze che attivano le contrazioni uterine. E’ importante poi ricordare che la letteratura attualmente disponibile ci dice che la morte di uno dei feti non è un’indicazione ad anticipare il parto, ad eccezione delle epoche gestazionali più avanzate, quando ormai non c’è alcun vantaggio nel proseguimento della gravidanza stessa. I casi di coagulopatia materna da morte in utero riportati in letteratura sono talmente rari, che non dovrebbe essere questa l’indicazione al parto, soprattutto alle epoche gestazionali più precoci, quando i rischi della prematurità sono ben superiori. Il management dei singoli casi deve essere gestito da un team ostetrico esperto nel settore, meglio se all’interno di un ospedale di terzo livello.
La perdita di un figlio: aspetti psicologici
Un figlio “in arrivo” rappresenta fin dai primi momenti della gravidanza un vero e proprio “oggetto d’amore”, con il quale madre e padre costruiscono un legame, sia fisico che mentale. Ogni coppia genitoriale seppure con modalità differenti e specifiche procede durante tutta la gravidanza alla formazione di questo legame, che si crea in modo complesso e parzialmente inconscio: le fantasie sul “bambino immaginario”, i desideri e le aspettative, le possibilità di visualizzare così precocemente il bambino in utero attraverso l’ecografia sono tutti aspetti che contribuiscono a promuovere un saldo attaccamento tra i genitori ed il neonato, allo scopo di consolidare il fisiologico passaggio da coppia a famiglia al momento della nascita.
Quando muore un bambino prima del parto, si verifica in modo improvviso e violento l’interruzione di questo processo di legame: viene a mancare l’oggetto d’amore, il fine ultimo di tutta la preparazione conscia ed inconscia, psicologica e fisica affrontata dalla coppia genitoriale (ma anche degli eventuali fratellini e dei nonni); i genitori, e nelle primissime fasi, per motivi squisitamente biologici ed ormonali, soprattutto le madri, si sentono cariche di un amore “specifico”, destinato a quel bambino non nato. Questa esperienza di lacerazione, tra il prima ed il dopo, è comune a tutte le donne che perdono un bambino in gravidanza, indipendentemente dall’epoca gestazionale. La rottura inattesa di questo legame, non supportata da un arresto delle funzioni biologiche femminili del post partum, si presenta come un evento innaturale, contronatura e per questo totalmente al di fuori di una realtà comprensibile e accettabile.
La perdita di un figlio, soprattutto nel caso di una morte intrauterina o di un aborto terapeutico, sembra particolarmente crudele nei giorni successivi al parto, quando “biologicamente” il corpo della madre è preparato e predisposto all’allattamento, all’accudimento che restano però senza oggetto. Può capitare ad esempio che il pianto di altri neonati promuova la produzione di latte, molte madri non riescono ad affrontare altre donne in gravidanza, altre ancora trovano terribile che il loro corpo, preparato per l’allattamento, abbia le forme di una nutrice, senza che sia possibile nutrire nessuno.
E’ impossibile descrivere in modo esauriente TUTTE le emozioni e tutti i pensieri sperimentati dalle madri e dai padri colpiti da lutto, tuttavia ci sono vissuti estremamente comuni. Tra le emozioni ed i pensieri più frequenti troviamo una dolorosa sensazione (sia fisica che mentale) di vuoto e sbigottimento. Alcune mamme avvertono una sensazione di irrealtà associata a tristezza, che può combinarsi ad agitazione e tendenza a tenersi estremamente occupate, quasi per poter evitare di pensare all’accaduto. Nei giorni successivi sono spesso presenti emozioni della sfera negativa, come tristezza, angoscia, senso di colpa e notevole rimuginio (“è colpa mia, avrei dovuto/non avrei dovuto…”) alternato talvolta ad apatia.
E’ importante ricordare che nel corso della stessa giornata possono avvicendarsi stati d’animo molto diversi, e profondi sentimenti di dolore e disperazione possono fare il posto a rimuginii sulla colpa, ai ricordi di quanto è accaduto, ai momenti di iperattività e di estraneità, in cui l’umore può sembrare fin troppo positivo. In generale sensazioni e pensieri così violenti e talvolta discordanti allarmano le madri, che temono di poter impazzire e di non sopportare il dolore, soprattutto se si hanno alterazioni dei ritmi fisiologici (sonno, appetito, etc…). In questi momenti il contributo sincero delle persone vicine alla coppia genitoriale (ed ai fratellini se presenti) può essere di grande aiuto per formare una sorta di “rete protettiva”, in cui i genitori siano liberi di poter esprimere i loro pensieri ed i loro sentimenti, e di avere tempo a disposizione per iniziare il processo di elaborazione del lutto. Tale contributo può essere inteso come aiuto nelle faccende domestiche, nella preparazione dei pasti, nelle attività della famiglia, nell’intrattenimento degli altri bambini, etc..
La perdita di uno o più gemelli
Nelle gravidanze multiple può accadere che durante la gestazione uno o più gemelli vada incontro a morte. Tale evenienza può verificarsi anche in caso di parto prematuro, più frequente nelle gravidanze gemellari, e questa situazione per i genitori è un momento estremamente difficile e confusivo, in cui vita e morte sono compresenti nello stesso momento temporale e si associano a vissuti decisamente contrastanti.
L’attesa di due o più gemelli attiva infatti un processo di genitorialità particolare, da molte madri definito speciale (“mi sento una supermamma, la mia casa si riempirà improvvisamente di vita”) in cui i genitori attendono con gioia e curiosità l’arrivo contemporaneo di più “persone”; spesso i genitori fanno fantasie differenziate sui diversi bambini in arrivo e sulla loro vita futura, che necessariamente sarà sensibilmente diversa.
Quando uno dei gemelli viene a mancare in utero, i genitori possono provare emozioni contrastanti, dolore per la perdita, gioia per la presenza dei o del bambino superstite, perchè credono in questo modo di “fare un torto” al bambino che non c’è più. Quando la perdita avviene in utero, questo processo è reso particolarmente difficoltoso dal fatto che il corpo del bambino deceduto resta in utero e va incontro ad un processo di riassorbimento o di macerazione che si concluderà soltanto al termine della gravidanza, con la nascita del gemello sano e l’espulsione del sacco placentare e degli altri resti del gemello che non c’è più, e questo rappresenta una fase di difficoltà per il genitore che prova vissuti opposti e può faticare molto a gioire completamente o a soffrire completamente per la perdita.
Quando la perdita avviene dopo il parto, in seguito a parto prematuro o a complicanze, in contatto con i due o più gemelli si è già stabilito alla pari, i gemelli sono stati “riconosciuti” nella loro individualità ed è stato dato loro un nome; la prematurità e il ricovero in terapia intensiva sono di per sè situazioni di intenso stress per i genitori, che devono affrontare il difficile percorso della “maturazione” dei loro figli attraverso una serie di complicanze legate alla prematurità, che rendono incerto l’esito del ricovero. In questa situazione i genitori vivono una sorta di lutto anticipatorio, in cui stare accanto ai figli può essere estremamente difficile e notevolmente diverso dalle normali aspettative di cura dopo la nascita.
Il legame di attaccamento genitore-figlio che si sviluppa in terapia intensiva è infatti più difficile e doloroso, perchè molti dei normali gesti che concretizzano questo legame alla nascita sono resi impossibili dalla situazione medica ed assistenziale, dalla complicazioni, dalla prematurità. Amore e dolore coesistono, insieme al timore della perdita e alla paura di non riuscire ad affrontare questo lungo cammino di incertezza. I genitori avvertono la sofferenza dei loro figli, spesso provano sentimenti di colpa per non essere stati in grado di proteggerli per il tempo necessario, spesso si sentono spaesati e fuori dal tempo. L’incertezza della sopravvivenza, soprattutto nel caso dei gemelli, rende tutto particolarmente difficile; quando uno dei gemelli viene a mancare, si apre una situazione doppiamente critica in cui al lutto anticipatorio, alla paura di perdere tutto, si affiancano contemporaneamente il lutto reale per la reale perdita e la speranza, il desiderio e l’affetto per il bambino o i bambini sopravvissuti. Anche in questa situazione i genitori sono divisi e scossi da emozioni opposte, perchè viene loro richiesto di iniziare il lutto per il bambino perduto e nel contempo di essere presenti e continuare a lottare per il bambino sopravvissuto.
La gravidanza dopo un aborto o morte intrauterina
Il miglior momento per avere un’altra gravidanza è quando la coppia si sente pronta, emotivamente e fisicamente. Alcuni consigliano di aspettare almeno un paio di cicli mestruali dopo un aborto, specialmente dopo un intervento sull’utero, quale il raschiamento. Diversamente, se si decide di aspettare più a lungo, è bene parlare con il proprio medico riguardo alla contraccezione, visto che spesso si ovula anche nel ciclo immediatamente successivo all’aborto.
Riguardo alla morte intrauterina, specialmente quando questa avviene nel terzo trimestre di gravidanza, è consigliabile aspettare almeno 6 mesi, preferibilmente un anno, per lasciare il tempo all’utero e al fisico materno di recuperare energie e soprattutto, per facilitare l’elaborazione del lutto, in modo da affrontare una nuova gravidanza senza eccessive ansie o sensi di colpa per il bambino perduto.
Per prepararsi ad una successiva gravidanza è bene avere prima di tutto cura di sè, con una dieta regolare ed esercizio fisico moderato. La supplementazione con acido folico è particolarmente importante in tutte le donne in età fertile e deve essere iniziata prima della gravidanza, per migliorare l’effetto protettivo nei confronti di alcune malformazioni, quali i difetti del tubo neurale (spina bifida).
A chi rivolgersi in caso di poliabortività o di morte in utero
Presso la Maternità di Careggi il servizio che si occupa di poliabortività e gravidanza dopo morte in utero è la “Medicina Prenatale – Gravidanze a rischio” responsabile Dr Federico Mecacci. L’appuntamento per “visita preconcezionale” viene prenotato chiamando il numero 055-7947605.
L’ associazione CiaoLapo Onlus occupa di sostegno psicologico dopo aborto o morte in utero nel territorio delle province di Prato e di Firenze. Per contatti o informazioni sulle risorse disponibili nella vostra zona scrivete a info@ciaolapo.it o visitate il sito.
Approfondimenti:
The Lancet stillbirth series: un numero speciale di Lancet dedicato alla morte in utero, destinato agli operatori e scaricabile gratuitamente. L’associazione CiaoLapo ha partecipato come membro dell’International Stillbirth Alliance. Il riassunto in italiano può essere scaricato in PDF.
Scarica l’articolo “Riprovarci di nuovo – la gravidanza dopo un aborto” e le “FAQ aborto e morte in utero” dalla sezione Download.
Argomenti correlati
Aborto spontaneo e fecondazione assistita
Diagnosi di aborto: quando è certa
Poliabortività: aspirinetta inutile in fase preconcezionale
CiaoLapo a Medicina33: aborto
Morte in utero